diumenge, 29 de novembre del 2015

Congrés sobre teatre musical breu del segle XVIII a la RESAD

Els dies 14-16 de novembre vam tenir l'oportunitat de gaudir del fantàstic congrés Teatro musical español del siglo XVIII (teatro breve): géneros y nuevas perspectivas que la Universitat Autònoma de Madrid i la Reial Escola Superior d'Art Dramàtic van organitzar conjuntament. Aquest congrés es va plantejar com a espai on van dialogar no només musicòlegs, filòlegs i estudiosos del teatre, sinó també la pràctica i la teoria, la recerca i la posada en escena. Vam poder gaudir des de ponències d'especialistes de renom en teatre musical del segle XVIII com Fernando Doménech, Germán Labrador o Juan Antonio González Marín (també músic pràctic), fins a meravelloses posades en escena, com l'exquisida reconstrucció d'un ball pantomim set-centista o de la tonadilla de Pau Esteve La desdicha de tonadillas, passant per ponències i comunicacions que van plantejar la complexitat del tema del congrés en la seva gran varietat (melòlegs, sainets, folles, balls dramàtics, etc.).
La meva aportació al congrés va ser conjuntament amb la María José Ruiz Mayordomo, com ja és habitual en nosaltres des de fa quatre anys. Vam presentar la comunicació "El fandango en la dramaturgia tonadillesca: el gesto en su contexto", continuació de la nostra comunicació a Nova York. En ella vam exposar les diferents formes en què apareixen els fandangos en les tonadillas set-centistes i quina relació s'hi estableix entre gest corèutic i gest musical. La rebuda de la nostra proposta, molt d'acord amb l'interès del congrés per conjuntar teoria i pràctica, va ser excel·lent. Des d'aquí aprofito per agrair als col·legues de la UAM i RESAD l'enorme hospitalitat que vam gaudir i l'haver portat a terme una iniciativa tan necessària i enriquidora. Espero sincerament que aquest entusiasme es mantingui i dongui molts més fruits. Muchas gracias por todo, colegas y amigos de la UAM y RESAD. ¡Hasta muy pronto!

diumenge, 6 de setembre del 2015

Nova etapa / nuova fase

Avui inauguro la nova imatge del meu blog i ho faig amb una notícia: ben aviat tornaré definitivament a Barcelona. Encara no puc fer balanç dels quatre anys passats a Bolonya, per això necessitaré temps. Ara per ara només sé que m’ha marcat profundament.

Em sap greu deixar un lloc on he passat tant de temps i on he après tantes coses (de música, de cant, de segle XVIII, de cultures, de mi, dels altres… de la vida). Aquí he viscut molt i amb intensitat. Agraeixo a tothom qui ha fet possible totes aquestes experiències.

Però torno a Barcelona amb la il·lusió de començar una nova etapa plena de projectes apassionants.

Arrivederci, Bologna. Hola, Barcelona!

* * *

Oggi inauguro la nuova immagine del mio blog, e lo faccio con una notizia: presto tornerò definitivamente a Barcellona. Ancora non posso fare bilancio dei quattro anni che sono stata a Bologna; per farlo avrò bisogno di tempo. Ora solo so che mi ha segnato profondamente.

Mi dispiace lasciare un luogo in cui ci sono stata per tanto tempo e in cui ho imparato tante cose (di musica, canto, seccolo XVIII, di culture, di me, degli altri… della vita). Qua ho vissuto tanto e con grande intensità. Ringrazio a tutti coloro che hanno reso possibili tutte queste esperienze.

Ma torno a Barcellona con la voglia di cominciare un nuovo periodo pieno di progetti affascinanti.


Arrivederci, Bologna. Hola, Barcelona!

dimecres, 22 d’abril del 2015

Congrés sobre el fandango a la CUNY

Els dies 17 i 18 d'abril de 2015 va tenir lloc el congrés "Spaniards, Indians, Afrians and Gypsies: The Global Reach of the Fandango in Music, Song and Dance" en la City University de Nova York. Vaig tenir l'enorme sort de participar-hi junt amb la María José Ruiz Mayordomo, amb una comunicació sobre la restauració coreogràfica d'un fandango del segle XVIII a través de l'estudi de la relació entre música i gest corèutic en la tradició bolera La valoració general del congrés i de l'experiència van ser molt positives. Molts assistents van coincidir en apreciar la seva originalitat, sobretot per la gran varietat de formes, plantejaments i cultures que va aconseguir aglutinar una sola paraula: "fandango".

La màxima manifestació de tot plegat va ser la conferència inaugural d'Elisabeth Le Guin, qui va
prendre com a punt de partida un fandango d'una tonadilla del segle XVIII per reflexionar sobre la recerca d'allò que no queda per escrit en l'acte performatiu (el que ella va anomenar "non-verbal Humanities") i per acabar tots els presents vam assistir a un veritable "fandango" on es va cantar, ballar i tocar instruments. Així, doncs, va ser un congrés ben atípic, original i enriquidor, excel·lentment organitzat per Meira Goldberg i Antoni Pizà, de la Foundation for Iberian Music de la CUNY, als qui agraïm llur invitació i humanitat

dijous, 5 de març del 2015

frustata alle 50 sfumature

Puo essere una bella sfida fare la traduzione in italiano di un articolo del mio blog. Pertanto, al modo di iniziale captatio benevolentiae mi scuso per gli eventuali errori. Come disse quello, "se sbaglio mi corriggerete [sic]".

*  *  *

Spegno il computer arrabbiata e provo a pensare. Dico "provo" perché il realtà non ci riesco. L'argomento mi arrabbia troppo. Ancora mi risuonano negli occhi frasi tipo "è troppo figo... Non dovrebbero esistere uomini così belli. Mi fa sbavare. Wow" (semicit.). Non ne posso più... Meglio lo lascio stare e ci rifletterò in un altro momento.
*   *   *

È da alcuni giorni che penso a un argomento che mi preoccupa, e credo che la vicina celebrazione della Giornata della Dona sia un'occasione eccellente per parlarne e rifletterci. Si tratta del fenomeno di Cinquanta sfumature di grigio, romanzo erotico di E. L. James di grandissimo successo di cui si ha appena fatto il film. Ammetto che né il romanzo né il film mi interessano, ma mi intrigava il fenomeno come manifestazione di successo di letteratura erotica per donne. In realtà mi creava certo disagio l'informazione che mi arrivava, soprattutto il fatto che fosse diventato un best-seller trattandosi di un'opera sulla dominazione maschile e sottomissione femminile. Comunque preferivo avere un criterio proprio e cominciai a leggerla...

... e confesso che non sono riuscita a passare dalla pagina 69, numero più erotico che tutto quello che avevo letto prima. Puo sembrare presuntuoso e prepotente, ma il mio buon gusto come lettrice mi ha impedito di continuare a leggere un romanzo di una qualità così infima. Ho troppo lavoro, poco tempo e buon gusto.

Nonostante il tentativo di lettura e mettendo a parte la disillusione (o, meglio, l'arrabbiatura) dal poco criterio letterario della maggioranza del pubblico, voglio manifestare quello che penso su di tutto questo. Mi sembra atroce che in pieno secolo XXI, nel nostro mondo occidentale teoricamente avanzato, (pos?)moderno e "civilizzato", tante donne si siano identificate con la protagonista di questo romanzo fino al punto di farla diventare un successo di venditti. Non mi scandalizza affatto il BDSM, lo rispetto e ne sono simpatizzante anche se non lo condivido (i miei amici di Facebook conoscono bene il mio personaggi della Zas -Zac in italiano-, quella che appare nell'immagine); e penso che tutto sia molto licito nelle intimità dei letti (o delle cavalline e fruste) e dentro delle fantasie delle pagine scritte. Infatti, posso capire che ci sia gente a cui piace la dominazione e la sottomissione e puo bene ispirare opere letterarie come è successo da secoli. Ma quello che mi scandalizza e anzi mi preoccupa seriamente è che la frustrazione sessuale (e non solo) di tante donne abbia causato la loro identificazione con un personaggio che segue uno stereotipo così conservatore, denigratorio e insopportabilmente sdolcinato. Se le fantasie di tante donne al mondo è quella di sentirsi sottomessa da uno stronzo maschilista, confonento sesso e affetto, passione con amore, e con la necessità di un dolcificante finale felice (squallida versione sado del principe azzurro dei racconti infantili), credo che qualcosa in tutti questi anni di lotta per l'emancipazione delle donne sia sbagliata. E la cosa peggiore è che l'intenzione di tutto questo era eccittare le donne.

Penso che questo evidenzi che ancora c'è tanto da fare, e soprattutto che non possiamo permettere di andare indietro. Non pretendo dare nessuna soluzione, ma non credo che il cammino sia lottare per mettere le donne allo stesso posto degli uomini, ma lavorare nella realizzazione di individui, sia uomini che donne, per ritrovarci mentalmente ed emozionalmente con la capacità di riconoscere e accettare le nostre somiglianze e differenze o, detto meglio, complementarietà. È quello che provo a fare ogni giorno... e spesso mi sento in controcorrente.

E, certamente, manca svilupare l'erotismo femminile, diverso (complementario, arricchente) degli stereotipi maschili, accettati e assolutamente generalizzati. Quello che eccitta le donne non si mostra oscenamente, ma si suggerisce, si odora, si tocca, si ascolta. Non è qualcosa di visivo e frontale, ma un fenomeno ricco e pieno di sfumature (e non quelle del Grey! Nota bene: il gioco di parole solo si da in italiano). E ovviamente non si deve cercare la sdolcineria leziosa, ma il desiderio. Invece, penso che la nostra quotidianità sia così imbevuta dalla visione erotica maschile che neppure ce ne accorgiamo. Infatti, quando vediamo un uomo attraente nudo o in una postura suggestiva sembra omosessuale. Quindi rivindico vivamente l'espressione dell'erotismo femminile!

Un'ultima frase per concludere: posso riuscire a capire il Grey perché, veramente, viene voglia di dare un paio di schiaffi alla tizia del romanzo. Zac!

dimecres, 4 de març del 2015

Fuetada a les 50 ombres

Tanco la finestra de l'ordinador malhumorada i intento pensar. Dit "intento" perquè en realitat no puc. El tema m'enrabia massa. Encara em ressonen als ulls frases del tipus "és tan guapo... No haurien d'existir homes tan guapos. Se'm cau la bava. Uau" (semicit.). No puc, no puc... Millor ho deixo i ja reflexionaré més endavant.
*   *   *

Fa uns dies que dono voltes a un tema que m'amoïna, i penso que la propera celebració del Dia de la Dona és una excel·lent ocasió per posar-lo sobre la taula i reflexionar-hi. Es tracta del fenomen de Cinquanta ombres d'en Grey, novel·la eròtica d'E. L. James d'èxit aclaparador de la qual se n'acaba de fer la pel·lícula. Reconec que a mi la novel·la i la pel·lícula no m'interessen en absolut, però m'intrigava el fenomen com a manifestació exitosa de literatura eròtica destinada a dones. En realitat em creava cert malestar el que m'arribava de la novel·la, sobretot que s'hagués convertit en best-seller tractant-se d'una obra sobre dominació masculina i submissió femenina. Però preferia tenir criteri propi i vaig decidir començar a llegir-la...

... i confesso que no he pogut passar de la pàgina 69, xifra més eròtica que tot el que havia llegit fins el moment. Pot sonar pedant i prepotent, però el meu bon gust com a lectora m'ha impedit seguir llegint una novel·la d'una qualitat tan ínfima. Tinc molta feina, poc temps i bon gust.

Malgrat la temptativa fallida de lectura i deixant de banda el desencís (o, millor dit, cabreig) pel poc criteri literari del públic majoritari, vull manifestar el que penso de tot plegat. Em sembla esgarrifós que en ple segle XXI, en el nostre món occidental teòricament avançat, (post?)modern i "civilitzat", tantes dones s'hagin identificat amb la protagonista d'aquesta novel·la fins el punt de convertir-la en un èxit de vendes. No m'escandalitza en absolut el BDSM, el respecto i en sóc simpatitzant encara que no el comparteixi (els meus amics del facebook coneixen bé el meu personatge de la Zas, la que apareix a la imatge); i penso que tot és molt lícit en la intimitat dels llits (o poltres i fuets) i dins les fantasies de les pàgines escrites. En efecte, puc entendre que hi hagi gent a la que li agradi la dominació i el sotmetiment i pot molt bé inspirar obres literàries com ho ha fet des de fa segles. Però el que sí que m'escandalitza i fins i tot em preocupa seriosament és que la frustració sexual (i no només sexual) de tantes dones les hagin portat a sentir-se identificades amb un personatge que segueix un estereotipus femení tan conservador, denigrant i insuportablement cursi. Si la fantasia de milers de dones al món és la de sentir-se sotmesa per un malparit masclista confonent sexe amb afecte, desig amb amor, i amb la necessitat d'un edulcorat final feliç (versió sado i cutre del príncep blau dels contes de fades), crec que alguna cosa en tots aquests anys de lluita per l'emancipació de les dones ha fallat. I el més fotut és que la intenció de tot plegat era posar calentes les dones.

Crec que això posa de manifest que queda molta feina per fer i, sobretot, que no es pot permetre tornar enrere. No pretenc donar cap solució, però no crec que la via sigui lluitar per posar les dones al mateix lloc que els homes, sinó treballar en la realització d'individus, tant homes com dones, per tal de retrobar-nos mental i emocionalment amb la capacitat de reconèixer i acceptar les nostres semblances i diferències o, millor dit, complementarietats. És el que intento humilment cada dia... i sovint em sento a contracorrent.

I, evidentment, cal desenvolupar l'erotisme femení, diferent (complementari, enriquidor) als estereotipus masculins, acceptats i totalment generalitzats. Allò que posa calentes les dones no es mostra obscenament, sinó que se suggereix, s'olora, es toca, s'escolta. No és quelcom visual i frontal, sinó que és un fenomen ric i ple de matisos. I, per descomptat, no s'ha de buscar en la cursilada nyonya, sinó en el desig. En canvi, penso que la nostra quotidianitat està tan impregnada de la visió eròtica masculina que ni ens n'adonem. Tant és així que quan es veu un home atractiu nu o en posició suggerent sembla homosexual. Així doncs, reivindico l'expressió de l'erotisme femení ja.

Per acabar, unes últimes paraules: puc arribar a entendre al Grey perquè, certament, entren ganes de fotre un parell d'hòsties a la tipa de la novel·la. Zas!


diumenge, 31 d’agost del 2014

La paradoja del cantante

En esta ocasión os ofrezco la traducción al castellano de mi última entrada. Espero que de este modo aquellos que no leáis el catalán podáis acceder a este texto.

* * *

Hoy quiero reflexionar sobre un hecho que hace tiempo que me ronda por la cabeza. Y me permito hacerlo sin notas a pie de página, es decir, como ensayo a partir sólo de mi experiencia personal. No he querido averiguar si alguien ha hablado antes: sólo quiero plasmar mis reflexiones y suscitar otras. Y se trata de lo que he optado por llamar "la paradoja del cantante".

Hacia 1769 Diderot escribió su famosa Paradoxe sur le comédien, donde plantea que el actor debe basar su técnica actoral en una distancia que le permita interpretar sin sentir las emociones que transmite al público. Yo hace tiempo que reflexiono sobre la "paradoja del cantante", un fenómeno que lo conozco bien porque lo he vivido desde la más cruda primera persona. A lo largo de muchos años de aprendizaje y experiencias diversas (de todo tipo y formas) con el canto lírico, he llegado a la conclusión de que el cantante vive en una constante paradoja creada por el hecho de que nunca llega a sentir verdaderamente el efecto real de su voz.

De entrada, es evidente que cuando cantamos no nos oimos como los de fuera. Entre la gente que no estudia canto es muy habitual decir aquello de "cuando me oigo grabado no soporto mi voz", ya que cuando hablamos la audición de nuestra voz está muy distorsionada por nuestras propias resonancias. Por tanto, ¡imaginaos las dificultades de un cantante para tener cierta idea de cómo suena su voz!

El cantante (sobre todo lírico, es decir, aquel que desarrolla al máximo el potencial de su voz para no necesitar la tecnología) sólo puede oir externamente su voz a través de herramientas que funcionan de inexacto espejo: el grabación, el efecto en los demás, el eco, etc. Por ejemplo, me consta que los castrados que estudiaban canto en los conservatorios de Nápoles en el siglo XVIII iban a ciertas cuevas y valles donde podían oír su voz en eco. Ninguno de estos sistemas reproduce exactamente el efecto de la voz en vivo; por tanto, yo nunca podré sentir el verdadero efecto de la resonancia de mi voz en mis células como receptora. Como dibujante veo mis dibujos, como escritora puedo leer mis textos ... pero como cantante no me puedo oir.

Por tanto, la imagen que tiene un cantante de sí mismo depende exclusivamente de factores externos. Esto le hace ser un ser especialmente vulnerable, sobre todo en su etapa formativa, durante la cual vive a merced del talante de maestros que le hacen de espejo, y de opiniones mil que, si no están bien fundamentadas, pueden destruir carreras prometedoras.

Recíprocamente, el alumno hace de espejo de las debilidades del maestro: las frustraciones, las carencias técnicas, la mediocridad o, sencillamente, la ignorancia. Y a menudo éste, en lugar de reconocerlo, lo proyecta en el alumno. En general, se crea un juego peligroso y potencialmente tóxico de egos y de espejos distorsionantes con la trampa de la condición "autosorda" del alumno.

De hecho, pienso que los fenómenos del divismo y los egos crecidos, tan habituales en el mundo del canto lírico, se pueden explicar precisamente como autodefensa a esta vulnerabilidad propia de la condición de cantante. En cualquier caso, es fácilmente observable que el cantante lírico suele tener la necesidad de una afirmación constante en los demás, a menos que llegue a tener una clara imagen sonora de sí mismo gracias a una técnica sólida lograda mediante maestros que han hecho de espejo correcto y empático. Si me permitís el excurso "zen", es entonces cuando el cantante deja de preocuparse por la imagen "egoica" de sí mismo y consigue que, simplemente, el canto fluya.

Todo ello lo he vivido en mis carnes durante muchos años. Después de catorce años de pasar por mil manos en Barcelona y Alemania, finalmente he encontrado mi voz en Bolonia. En poco tiempo he pasado de cantar el "Aleluya" del Exsultate Jubilate de Mozart o el "Rejoice" del Mesías de Händel a hacer el "Pace, pace, mio Dio"de La forza del destino de Verdi o el "Senza mamma" de Suor Angelica de Puccini. He pasado de que me digan que soy "soprano segunda" a que soy "soprano dramática" o "puedes estar contenta de cantar en un coro de cámara" a "deberías hacer audiciones en teatros". Sólo en estas opiniones se observan dos imágenes absolutamente opuestas de mí misma.

Sinceramente, he tenido una fuerza de voluntad que no sé de dónde la he sacado (perdón, sí lo sé: de la gente que ha creído en mí, gracias!), además de la suerte (o san Google!) de dar con mis excelentes profesores boloñeses, Anna Flores y Roberto Ferrari Melega. Soy feliz cantando porque sé que mi voz ha encontrado su camino, aunque he aprendido que nunca sabré su efecto real. Pero no quiero personalizar demasiado el artículo o si no adquirirá un tono autobiográfico y "destroyer" que quiero evitar. Prefiero mantener la distancia, como el actor de Diderot.


divendres, 8 d’agost del 2014

la paradoxa del cantant

Avui vull reflexionar sobre un fet que fa temps que em volta pel cap. I em permeto fer-ho sense notes a peu de pàgina, és a dir, com a assaig a partir només de la meva experiència personal. No he volgut esbrinar si algú n'ha parlat abans: només vull plasmar les meves reflexions i suscitar-ne d'altres. I es tracta del que he optat per anomenar "la paradoxa del cantant".

Cap el 1769 Diderot va escriure la seva famosa Paradoxe sur le comédien, on planteja que l'actor ha de basar la seva tècnica actoral en una distància que li permeti  interpretar sense sentir les emocions que transmet al públic. Jo fa temps que reflexiono sobre la "paradoxa del cantant", un fenomen que el conec bé perquè l'he viscut des de la més crua primera persona. Al llarg de molts anys d'aprenentatge i experiències diverses (de tot tipus i maneres) amb el cant líric, he arribat a la conclusió que el cantant viu en una constant paradoxa creada pel fet que mai no arriba a sentir veritablement l'efecte real de la seva veu.

D'entrada, és evident que quan cantem no ens sentim com els de fora. Entre la gent que no estudia cant és molt habitual dir allò de "quan em sento gravat no suporto la meva veu", ja que quan parlem l'audició de la nostra veu està molt distorsionada per les nostres pròpies ressonàncies. Per tant, imagineu-vos les dificultats d'un cantant per tenir una certa idea de com sona la seva veu!

El cantant (sobretot líric, és a dir, aquell que desenvolupa al màxim el potencial de la seva veu per tal de no necessitar la tecnologia) només pot sentir externament la seva veu a través d'eines que funcionen d'inexacte mirall: l'enregistrament, l'efecte en els demés, l'eco, etc. Per exemple, em consta que els castrats que estudiaven cant als conservatoris de Nàpols al segle XVIII anaven a certes coves i valls on podien sentir la seva veu en eco. Cap d'aquests sistemes reprodueix exactament l'efecte de la veu en viu; per tant, jo mai no podré sentir el veritable efecte de la ressonància de la meva veu en les meves cèl·lules com a receptora. Com a dibuixant veig els meus dibuixos, com a escriptora puc llegir els meus textos... però com a cantant no em puc sentir.

Per tant, la imatge que té un cantant d'ell mateix depèn exclusivament de factors externs. Això el fa ser un ésser especialment vulnerable, sobretot en la seva etapa formativa, durant la qual viu a mercè del tarannà de mestres que li fan de mirall, i d'opinions mil que, si no estan ben fonamentades, poden destruir carreres prometedores.

Recíprocament, l'alumne fa de mirall de les debilitats del mestre: les frustracions, les mancances tècniques, la mediocritat o, senzillament, la ignorància. I sovint aquest, en lloc de reconèixer-ho, ho projecta en l'alumne. En general, es crea un joc perillós i potencialment tòxic d'egos i de miralls distorsionants amb la trampa de la condició "autosorda" de l'alumne.

De fet, penso que els fenòmens del divisme i dels egos crescuts, tan habituals en el món del cant líric, es poden explicar precisament com a autodefensa a aquesta vulnerabilitat pròpia de la condició de cantant. En qualsevol cas, és fàcilment observable que el cantant líric sol tenir la necessitat d'una afirmació constant en els altres, a menys que hom arribi a tenir una clara imatge sonora d'ell mateix gràcies a una tècnica sòlida assolida mitjançant mestres que han fet de mirall correcte i empàtic. Si em permeteu l'excurs "zen", és llavors quan el cantant deixa de preocupar-se per la imatge "egoica" d'ell mateix i aconsegueix que, simplement, el cant flueixi.

Tot plegat ho he viscut en les meves carns durant molts anys. Després de catorze anys de passar per mil mans a Barcelona i Alemanya, finalment he trobat la meva veu a Bolonya. En poc temps he passat de cantar l'"Al·leluia" de l'Exsultate Jubilate de Mozart o el "Rejoice" del Messies de Händel a fer el "Pace, pace, mio Dio"de La forza del destino de Verdi o el "Senza mamma" de Suor Angelica de Puccini. He passat de sentir-me a dir que sóc "soprano segona" a que sóc "soprano dramàtica" o "pots estar contenta de cantar en un cor de cambra" a "hauries de fer audicions en teatres". Només en aquestes opinions s'observen dues imatges absolutament oposades de mi mateixa.

Sincerament, he tingut una força de voluntat que no sé d'on l'he treta (perdó, sí que ho sé: de la gent que ha cregut en mí, gràcies!), a més de la sort (o sant Google!) de donar amb els meus excel·lents professors bolonyesos, l'Anna Flores i el Roberto Ferrari Melega. Sóc feliç cantant perquè sé que la meva veu ha trobat el seu camí, encara que he après que mai no sabré el seu efecte real. Però no vull personalitzar massa l'article o si no adquirirà un to autobiogràfic i "destroyer" que vull evitar. Prefereixo mantenir la distància, com l'actor de Diderot.